Corte di Cassazione: legittimo il licenziamento per giusta causa se durante la malattia il lavoratore compromette la propria guarigione

(Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 03/09/20 Ordinanza n. 18245)

Con Ordinanza n. 18245/2020, la Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso promosso da un lavoratore avverso la sentenza della Corte territoriale con la quale i Giudici di merito avevano accertato la legittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli dal datore di lavoro, per aver lo stesso – in violazione dei doveri e degli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede – svolto attività extra lavorativa a favore di terzi, nonostante lo stato di malattia certificato.

L’ordinanza si segnala di interesse poiché offre rilevanti spunti di riflessione sia sulla delicata e controversa questione inerente la compatibilità tra lo svolgimento del lavoratore, in stato di malattia certificato, di attività extralavorativa in favore di terzi e gli obblighi (e i connessi doveri) di correttezza e buona fede inerenti al rapporto di lavoro, sia sull’applicazione del principio di immutabilità della contestazione disciplinare e conseguente violazione del diritto di difesa del lavoratore.

In particolare, con l’Ordinanza in commento, la Corte ha confermato, rafforzando un principio invalso in giurisprudenza, come lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del lavoratore in malattia rappresenti una grave violazione degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, nonché dei doveri di correttezza e buona fede, sia nell’ipotesi in cui “tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, (sia) nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ‘ex ante’ in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio” (cfr., tra le altre, Cass. 19.10.2018 n. 26496, Cass. 27.4.2017 n. 1041).

Dunque, lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia è, per la Corte, certamente idoneo a giustificare il recesso datoriale, purché nella contestazione dell’addebito, “emerga con chiarezza il profilo fattuale, così da consentire una adeguata difesa da parte del lavoratore” (Cass. 5.8.2014 n. 17625). In tal modo la Corte ha rimarcato l’intima connessione sussistente tra il principio di immutabilità della contestazione e il diritto di difesa del lavoratore.

Ed infatti, secondo i Giudici di legittimità, il principio di corrispondenza tra addebito contestato e addebito posto a fondamento della sanzione disciplinare, che vieta il licenziamento sulla base di fatti diversi da quelli contestati, deve ritenersi violato solo qualora il datore di lavoro alleghi, nel corso del giudizio, circostanze nuove, atte a fornire cioè, in violazione del diritto di difesa, una diversa valutazione dei fatti addebitati.

Sotto diverso profilo, la violazione degli obblighi contrattuali e dei doveri di correttezza e buona fede da parte del lavoratore assente per malattia (che dunque legittimamente si astiene dalla prestazione lavorativa), è certamente esclusa ove il lavoratore, nello svolgimento di ogni ulteriore attività, adotti ogni opportuna cautela al fine di concludere al più presto lo stato di malattia e di recuperare l’idoneità al lavoro. In altri termini, la Corte ha puntualizzato come l’espletamento di altra attività, da parte del lavoratore durante lo stato di malattia, non sia di per sé idoneo a violare i doveri di correttezza e buona fede né a rappresentare una giusta causa di recesso, ma può certamente costituire una grave violazione dei predetti obblighi, ove si riscontri che l’attività espletata rappresenti indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione.

Merita poi attenzione – pur non rappresentando tema centrale dell’ordinanza – quanto dalla Corte statuito in materia di riparto dell’onere probatorio. I Giudici di legittimità hanno infatti precisato che, indipendentemente dall’adesione al principio secondo cui, in materia di licenziamento per giusta causa, grava sul datore di lavoro l’onere di provare che lo svolgimento da parte del lavoratore di un’attività extralavorativa durante lo stato di malattia abbia inciso negativamente sulla salute dello stesso in termini di ritardata guarigione, contrastando con gli obblighi di buona fede e correttezza, debba farsi luogo, in ottica di contemperamento, al principio di acquisizione probatoria, fondato sul principio costituzionale del giusto processo, secondo cui il Giudice ha il dovere di pronunciare nel merito utilizzando tutto il materiale probatorio acquisito “da qualunque parte esso provenga – con una valutazione non atomistica ma globale nel quadro di una indagine unitaria ed organica, suscettibile di sindacato in sede di legittimità, per vizi di motivazione e, ove ne ricorrano gli estremi, per scorretta applicazione delle norme riguardanti l’acquisizione della prova” cfr. Cass. 14.7.2017 n. 17598, Cass. 25.9.2013 n. 21909).

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(Commento a cura dell’Avv. Mariarosaria Ligurgo)